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sabato 29 luglio 2017

LE VOCI IGNORATE DELL'OPPOSIZIONE DI SINISTRA A MADURO di Antonio Moscato





LE VOCI IGNORATE DELL'OPPOSIZIONE DI SINISTRA A MADURO
di Antonio Moscato



L’informazione sul Venezuela continua ad essere inadeguata: ai giornali borghesi fa comodo amplificare le denunce vittimiste della MUD per screditare un movimento bolivariano che nella fase ascendente aveva suscitato grandi speranze non solo in America Latina, mentre diverse frange di sinistra “campiste” ma soprattutto il Manifesto continuano a credere che lo scontro sia tra un governo socialista e uno schieramento imperialista aggressivo e golpista. Lo stesso criterio impedisce di capire le responsabilità di quello che già è accaduto in altri paesi come il Brasile o l’Argentina, evitando ogni riflessione autocritica sullo scollamento tra i governi “progressisti” e le masse. Il risultato è che questi difensori acritici dell’esistente non hanno dubbi nel sostenere incondizionatamente Maduro, anche mentre svende alle multinazionali ampi territori del paese, e punta tutto sullo sviluppo della distruttiva industria mineraria.

Come è accaduto altre volte nelle vicende del “socialismo reale”, gli zelanti difensori di ogni governo sedicente di sinistra ignorano le voci di chi critica da sinistra e cerca una strada diversa. A volte presentano i settori critici del chavismo come opportunisti che lasciano la barca che affonda, più spesso non riferiscono affatto le loro posizioni, e riducono il dibattito venezuelano a uno scontro tra un Maduro assimilato a un Salvador Allende e una per loro inspiegabile reviviscenza del nazismo. Questa intervista a Lander rende l’idea dello spirito equilibrato con cui la sinistra guarda, con allarme, le forzature propagandistiche ma anche istituzionali con cui Maduro e soci, appoggiati su non disinteressati settori dell’esercito, stanno cercando di sopprimere la dialettica tra i diversi poteri dello Stato per sottrarsi a una convalida del severo giudizio delle urne già espresso nelle elezioni legislative del 6 dicembre 2015, con una vittoria delle opposizioni grazie all’astensione di oltre due milioni di elettori chavisti. In primo luogo, come ricorda Edgardo Lander, Maduro lo ha fatto bloccando con pretesti diversi ogni forma di elezione prevista in questo biennio, per poi inventarsi una nuova supercamera Costituente eletta a modo suo senza discuterne i criteri con nessuno. Ma forse Lander ha ragione nel sospettare che tra gli obiettivi taciuti da Maduro sia quello di dar via libera a quell’accordo sull’Arco minerario dell’Orinoco che era stato tenuto segreto a lungo all’Assemblea nazionale e ai cittadini, per non indebolire la propaganda che presenta Maduro come baluardo del socialismo e dell’antimperialismo.[1]

 25 Luglio 2017


QUESTA COSTITUENTE NON SIGNIFICA DIALOGO, NON SIGNIFICA ACCORDO, E' UN'IMPOSIZIONE



Intervista a Edgardo Langer [2]

di Edgardo Agüer S.[3]



Lei ha dichiarato che questa proposta di Costituente spinge il paese a un punto di non ritorno. Ci siamo già arrivati?

Non ancora per il momento, ma ci stiamo pericolosamente avvicinando a una situazione di non ritorno, per molti aspetti. In primo luogo, siamo di fronte all’imposizione di un meccanismo di Assemblea Costituente il quale, per un verso, è incostituzionale, ma – quel che più importa – si basa su una modifica delle basi elettorali elaborata in modo particolarmente calcolato per garantire che, indipendentemente da ciò che possa pensare la maggioranza della popolazione venezuelana, il “madurismo” riesca a imporre la maggioranza.


In che modo e per quale ragione avverte che la composizione di questa Assemblea Nazionale Costituente (ANC) sarebbe già predisposta in anticipo

Per prima cosa, questo avviene tramite la sovra-rappresentanza dei municipi meno popolati, vale a dire: un municipio di 4.000 abitanti può avere la stessa rappresentanza di uno di 800.000; e non si tratta di casualità, ma di un disegno voluto. L’altro aspetto è che la rappresentanza corporativa, elaborata in base ad elenchi che non si sa da dove provengano e che non chiarisce chi siano coloro che ne fanno parte, introduce una differenza fra cittadini con diritto di voto per territorio e per settore e altri che hanno solo diritto al voto territoriale, cosa che viola completamente la concezione di “una persona – uomo o donna che sia – un voto”.


Si può in questo caso parlare di broglio?

Il broglio è qualcosa che si fa sotto banco se stai giocando a carte, ad esempio. Qui si tratta di un meccanismo elettorale e di una proposta di Costituente che viene fatta in condizioni in cui il governo mostra di non avere la capacità di vincere le elezioni. C’è il caso del referendum di revoca, che è stato ignorato nonostante si fossero rispettate le procedure e le condizioni richieste. Non ci sono state neanche le elezioni dei governatori, perché il governo sapeva che le avrebbe perse, né si sono tenute le elezioni comunali; in queste condizioni, non vi è alcuna garanzia che il prossimo anno si svolgeranno le elezioni presidenziali.

Allora, un governo che ha così riconosciuto di non poter vincere elezioni generali, dirette e con voto segreto, si inventa un meccanismo confezionato appositamente – prescindendo dal non avere la maggioranza – per disegnare un sistema politico che possa esercitare il controllo, il che è naturalmente la violazione di qualsiasi nozione di sovranità popolare e di democrazia, perché lo si sta imponendo alla maggioranza della popolazione. Si tratta di un meccanismo che corrisponde all’interesse del governo di mantenersi al potere e che non è espressione della sovranità popolare venezuelana.

L’obiettivo, quindi, è quello di cercare un sistema per rilegittimare il madurismo al potere, non quello della ricerca di una trattativa, o pace, o consenso, perché allora si sarebbe dovuto mettersi d’accordo su tutta una serie di cose e, ove si fosse pervenuti a trattare, allora convocare i cittadini, non invece tirar fuori una costituente convocata da un settore minoritario per imporla all’intera popolazione, che non può in alcun modo essere interpretata come dialogo. Questo non è dialogo, non è accordo, questo è imposizione.


Ritiene praticabile in questo momento, come propongono alcuni, inclusa la Procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, applicare l’articolo 350?

L’applicazione dell’art.350 non è assolutamente un decreto. Non si tratta che qualcuno dica: “allora oggi si applichi il 350”. No, siamo in una situazione in cui il processo di crescente delegittimazione del governo, da un lato, e i livelli di scontro e di violenza da parte di settori estremisti della destra e della repressione governativa, dall’altro lato, ci stanno portando a una situazione che potrebbe anche sfociare nella rottura completa, non dico dell’ordine costituzionale, ma dell’intero sistema di vita sociale collettiva, che in materia di operatività della società, come gradatamente ci sta succedendo, interrompa le condizioni di riproduzione della vita sociale nei termini che conosciamo, la riproduzione del trasporto pubblico, dell’acquisto di beni alimentari, del recarsi a scuola e al lavoro, tutte cose che si stanno decomponendo di giorno in giorno sotto i nostri occhi. Non credo quindi che, a questo punto, quello dell’art. 350 sia il tema di dibattito giuridico costituzionale, ma che lo sia quanto sta accadendo, nella misura in cui la situazione si sta decomponendo fino a tali estremi. Che cosa succederà se fanno le elezioni il 30 luglio e partecipa solo il 10% della popolazione? Che conseguenze provocherebbero quei risultati? Che senso ha un governo che pretenda di trasformare il sistema politico, il disegno dello Stato, in base all’ammissione esplicita che una grandissima maggioranza della popolazione vi si oppone? Ci stiamo avvicinando a una situazione in cui l’ordine costituzionale sta smettendo di funzionare come tale.


Come interpreta il fatto che il governo abbia lasciato nelle mani dei militari il controllo dell’importazione, produzione e distribuzione dei generi alimentari?

Ovviamente, nella società venezuelana si è verificata, ma soprattutto si è accentuata negli ultimi tre o quattro anni, la militarizzazione della società. In questo momento ci troviamo di fronte al fatto che un terzo dei ministri sono militari, così come un’alta percentuale dei governatori. Una parte rilevante dei settori fondamentali in cui si è verificata la maggiore corruzione in questi anni, che si annida nei meccanismi di assegnazione delle divise, da un lato, e delle importazioni, dall’altro, sono stati nelle mani dei militari. Là c’è un problema molto serio dal punto di vista sia della corruzione amministrativa, sia della democrazia. Dal punto di vista della democrazia, vuol dire una società in cui si va imponendo una crescente cultura militare, antagonistica rispetto allo spirito della cultura della democrazia partecipativa, che si presume sia il senso di fondo del progetto bolivariano; questo, da un lato ma, dall’altro lato, vuol dire che esiste una crescente complicità e responsabilità nell’Alto comando militare e in importanti settori dell’Esercito che, in alcun modo, garantiscono al governo la forza fondamentale a suo sostegno che in questo momento, è appunto l’establishment militare.


Mi viene in mente che con questa manovra vogliano conservare il proprio inserimento, voglio dire nell’ipotesi che si verifichi un cambio di governo, non crede?

Da un lato, naturalmente tutto l’impegno che soprattutto Chávez ha rivolto all’Esercito, nel senso della formazione di nuove generazioni con un immaginario anti-elitario, popolare, ecc. ha provocato cambiamenti in seno alle Forze armate, facendo sì che in questa istituzione, dal punto di vista politico e ideologico, la maggior parte dei suoi membri sia oggi molto diversa da quello che era venti o trent’anni fa. Tuttavia, dall’altro lato, c’è il fatto che per gli alti comandi giochino i rilevanti interessi creatisi, ad esempio la difesa dei propri privilegi. Nei fatti, questo succede non solo con gli alti comandi militari, ma anche ai vertici del comando civile governativo, una delle ragioni per le quali c’è la disperata ricerca di frenare il cambiamento, qualora si presentasse. Si sa che, se avvenisse, vi sarebbero concrete possibilità di dovere affrontare processi, visto che potrebbero venire a galla imputazioni di corruzione e una quantità di cose che si conoscono, ancorché non vi siano meccanismi operativi né rapporti di forza che consentano di fare chiarezza. Se il governo perdesse le elezioni il prossimo anno, questo vorrebbe dire necessariamente che vi sarebbe da parte di altri settori la richiesta di una resa dei conti, che si vuole evitare.


Sembrerebbe essersi verificato uno sfaldamento graduale dello Stato, non le pare?

Nell’operare quotidiano di una parte notevole dello Stato c’è assoluta incapacità di gestione, vuoi per mancanza di risorse, di motivazione, per assenza di direzione, di gestione, in una situazione di crisi nel bel mezzo della quale nessuno sa che cosa accadrà. C’è perciò una sorta di speranza di riuscire ad afferrare il tutto. Lo Stato si è andato praticamente arrestando e tutto ciò fa sì che qualsiasi cosa abbia a che fare con questo sia molto più complicata, più lenta, più difficile, più marcia.

D’altro canto, c’è stata una trasformazione più profonda dal punto di vista della sfera istituzionale, perché il disconoscimento del Parlamento, o il modo in cui si reagisce di fronte alle posizioni assunte dalla Procuratrice della Repubblica sollecitando la Suprema Corte di Giustizia a nominare una commissione medica per indagare se sia realmente malata di mente, tutto fa parte della rottura del funzionamento dello Stato, che è strutturalmente disegnato in modo tale da avere attribuzioni diverse, con poteri distinti e autonomia di poteri; questo implica che possa esservi confronto o dissenso tra questi stessi poteri, ma non che vi possa essere un potere che si imponga sugli altri. Eppure, se un determinato potere avanza un’argomentazione in una direzione diversa, si dichiara chi lo fa malato di mente. Di fronte a ciò, evidentemente, ci troviamo in una situazione che esula completamente dalla normativa costituzionale, vale a dire dalle regole del gioco.


Verso dove porta il misconoscimento della Costituzione?

Apparteniamo a quella che abbiamo chiamato la Piattaforma Civica di Difesa della Costituzione, perché riteniamo che, in una situazione tanto gravida di tensioni e così complicata, oggi in Venezuela la Costituzione sia l’unica regola del gioco su cui contare, per cui dobbiamo rivendicarne il rispetto, in quanto l’alternativa al mancato rispetto della Costituzione è la violenza o la guerra. Questo, indipendentemente dalle posizioni politiche che si possano avere e ammettendo la possibilità che in futuro si possano verificare eventuali cambiamenti, perché nessuna Costituzione è eterna e perfetta. Per cui, in questo momento, il rispetto di queste regole del gioco condivise da tutti credo sia la condizione sine qua non per evitare la guerra.


Il Venezuela si sta trasformando in uno Stato poliziesco?

In questo momento l’incertezza è tale che ci troviamo a fare i conti con questo smantellamento dell’ordinamento giuridico costituzionale, e tali sono le divisioni presenti nella società, i livelli di polarizzazione degli interessi – per determinati settori da entrambe le parti – che spingono verso una soluzione violenta, che è davvero impossibile prevedere che cosa succederà.

Il massimo che si possa immaginare sono scenari eventuali, ma è anche difficile prevedere quale abbia maggiori probabilità. Potremmo stare andando verso un processo di progressiva disintegrazione della convivenza civile, che potrebbe portare, come fanno di solito questi processi, a un ordine militare, autoritario; o potremmo trovarci di fronte al fatto che il governo stesso, sulla base dei propri interessi, delinei un sistema giuridico il più possibile impenetrabile, per mantenersi al potere; potremmo trovarci di fonte livelli di violenza che crescano in modo tale da fornire l’alibi agli Stati Uniti, con il sostegno del governo colombiano, per l’eventuale intervento militare. Vale a dire che la gamma delle possibilità che si aprono nel bel mezzo di questa disintegrazione è molto vasta, e ciascuna di esse è estremamente azzardata e rischiosa.


Sta forse prevedendo un’esplosione sociale in Venezuela?

Ti sembra poco quel che è avvenuto a Maracay? Non ti sembra un’esplosione sociale?


Va bene, professore, lei è un sociologo, uno scienziato, uno studioso della società; io sono solo un osservatore ai margini, un curioso, uno che guarda…

Già, già. In Venezuela, diversamente dal 1989, quando si verificò il cosiddetto “Caracazo” - che fu una sorta di esplosione simultanea, cominciata a Caracas e poi estesasi a buona parte delle principali città del paese - in questi ultimi due anni sono avvenuti lungo il paese piccoli “caracazos” a Cumaná, in Bolívar…; quello di Maracay, che colpì buona parte della rete di distribuzione dei prodotti alimentari, è espressione di questo: cominciano a verificarsi come conseguenza della decomposizione dello Stato, che parallelamente comporta la decomposizione del tessuto sociale, cosicché abbiamo in quei casi un misto tra gente che esce a protestare perché non trova di che mangiare, o perché non ha gas, ma scopriamo che ci sono anche mafie, una delinquenza più organizzata del resto della popolazione, che approfittano della situazione per assaltare negozi. In questi casi non si riesce a identificare chi sia il protagonista. Vi sono settori dell’estrema destra, che sono interessati; vi sono con assoluta certezza gruppi paramilitari colombiani, che operano finanziati da fuori; certamente ci sono proteste spontanee della gente; c’è tutto questo insieme. Ovviamente, quel che non può esserci è una spiegazione semplice che dica: questo è avvenuto per questo e questo corrisponde al gruppo tale.


Il presidente Maduro ha decretato la fine dell’era della rendita: è plausibile in un paese come il nostro, essenzialmente petroliero?

Maduro può decretare quel che vuole, a parole, ma nei fatti le decisioni che sono state prese, soprattutto l’apertura dell’Arco Minerario [dell’Orinoco], non stanno assolutamente ad indicare la fine del sistema della rendita, ma il suo approfondirsi, in quanto si sta sostituendo un sistema di rendita a un altro - quello petroliero con quello minerario. Oltretutto, per motivi politici, per ragioni ambientali, per l’equilibrio del pianeta ecc., è assolutamente indispensabile superare un’economia montata sul petrolio. in primo luogo pensando al pianeta.

Attualmente, le emissioni di gas a effetto serra sono arrivate a un tale livello che la temperatura globale del pianeta continua ad aumentare anno dopo anno. Nell’ultimo triennio le temperature sono state le più elevate di quelle di cui si sia tenuta la registrazione; ci stiamo pericolosamente avvicinando a una situazione di natura irreversibile di una serie di cambiamenti climatici catastrofici che mettono a rischio la preservazione della vita sul pianeta, e chi si pone l’esigenza del superamento della società capitalista deve necessariamente affrontare come asse assolutamente prioritario la costruzione di un altro fattore produttivo che non dipenda dall’emissione di gas a effetto serra.

La possibilità del superamento della rendita petrolifera non è, ovviamente, qualcosa che possa avvenire per decreto. Negli ultimi 17 anni di governo bolivariano, in cui si è parlato molto sul tema ambientale e sul superamento del sistema della rendita petrolifera, quello che tuttavia si è fatto è stato solo accentuare la dipendenza dalla rendita dello Stato venezuelano nel complesso della società venezuelana. Quando nel Piano della Patria ci si pone l’obiettivo di salvare il pianeta, viene fuori che c’è un altro obiettivo dello stesso livello ma che, in termini pratici, ha molte più implicazioni, in quanto si tratta di quelle che sono le politiche che concretamente si portano avanti, ad esempio quella di trasformare il Venezuela in una grande potenza energetica mondiale.


ll Piano della Patria contempla come primo obiettivo la sovranità alimentare e lo sradicamento della povertà in generale. È possibile, o si tratta semplicemente di buone intenzioni?

È chiaro che nei primi anni del governo bolivariano c’è stata una riduzione molto significativa dei livelli di povertà nel paese, ma dappertutto c’è la possibilità di politiche pubbliche che contribuiscano a ridurre la povertà. In questi momenti, come conseguenza, da un lato, del crollo dei prezzi del petrolio ma, dall’altro, come effetto del deterioramento del complesso della capacità produttiva del paese, sia industriale sia agricola, ci troviamo di fronte al fatto che lo Stato non è in grado di rispondere ai suoi doveri costituzionali rispetto ad impegni critici quali la sovranità alimentare, e il diritto della popolazione ad avere accesso al nutrimento non riesce ad essere soddisfatto perché lo Stato è incapace di amministrare, non ha abbastanza dollari, non c’è sufficiente produzione interna, e quindi la crisi che la società venezuelana sta vivendo è di gran lunga una crisi che va ben oltre la semplice congiuntura politica. Sul piano produttivo, è profonda e con ripercussioni di lunghissimo periodo: la ripresa della capacità produttiva del paese, per avere effettivamente sicurezza e autosufficienza alimentare essenziale, e il recupero di quello che è stato il deterioramento delle condizioni di vita intervenuto nell’ultimo triennio sono cose che prenderanno parecchio tempo.


Se il socialismo dà priorità all’elemento “comune”, vuol dire che con la nuova Costituzione socialista andremmo verso uno Stato comunale?

Il fatto dello Stato comunale è stato parte di un discorso e di tutta una richiesta di deleghe e di una quantità di strumenti, diciamo di leggi organiche, che sono state approvate, leggi dei consigli comunali e leggi delle comuni, del finanziamento del potere popolare, ecc.; ma finora, poiché non è cambiata la struttura produttiva di fondo del paese e la dipendenza dal petrolio continua ad essere non solo la stessa ma maggiore di prima, le politiche pubbliche hanno operato più come politiche redistributive che non come politiche di trasformazione del modello produttivo. Oggi, quella che è la produzione del settore comunale rispetto all’insieme dell’economia continua ad essere molto minoritaria, per cui passi in direzione di un modello produttivo comunale ci sono, ma molto lontani all’orizzonte.


Come terzo obiettivo dentro il Piano si contempla la protezione di bacini idrografici e ambienti naturali, il che ci porta all’Arco Minerario (AM). A cosa si deve che, essendo il chavismo - si presume - un movimento guidato dalla sensibilità sociale e in difesa degli interessi della patria, non vi sia una voce sensata che si levi in difesa della patria di fronte a questa madornale aggressione?

Questa è una domanda importante, perché in qualche modo ci riporta a come si muovono i partiti politici, come opera la logica del potere. Da parte mia, non mi limito a credere, ma mi incontro in vari luoghi con settori identificati con il chavismo che rispetto all’AM hanno posizioni molto critiche, anche se questo non è minimamente all’altezza della gravità di quel che c’è in ballo, che ha a che vedere con il modo in cui concepiamo il Venezuela del prossimo secolo: quelli infatti che si stanno rovinando sono i principali fiumi del paese, colpiti dall’AM. Siamo inoltre di fronte al fatto che c’è in gioco l’esistenza o meno di un importante gruppo di popoli indigeni venezuelani, il cui territorio sta venendo invaso dalla delimitazione dell’AM. AM occupa una parte rilevante dell’Amazonia, che costituisce una parte critica dei sistemi di regolazione ambientale planetari; mentre siamo di fronte a rischi cosi seri rispetto a tutto il cambiamento climatico globale, vediamo che il 70% dell’elettricità del paese si produce in invasi artificiali che stanno all’interno della delimitazione dell’AM; vediamo che l’apertura, cosi come è prevista, a un sistema economico speciale con un ruolo altrettanto speciale della forza armata di controllo, significa la possibilità di contratti a molto lunga scadenza che, anche con importanti cambiamenti di governo, sarebbe assai difficile o impossibile annullare.

Quel che c’è in gioco, allora, è il Venezuela che vogliamo e il Venezuela del futuro; perciò, a prescindere dall’intensità dello scontro politico, quello dell’AM non possiamo considerarlo un tema per dopo o un argomento secondario, perché le decisioni che si prendono avranno conseguenze a scadenza molto lunga. Per fortuna, il governo che sperava in fiumi di investimenti, perché sono molte le multinazionali minerarie interessate allo sfruttamento dell’AM, non li ha ancora trovati, visto che le imprese non vogliono rischiare, finché non potranno contare su un più solido terreno giuridico. Per il resto, tutta questa impalcatura si è costruita in violazione della Costituzione, della Legge Organica dei Popoli indigeni, della Legge Organica dell’ambiente, violando le leggi del lavoro, in condizioni eccezionali, per Decreto Presidenziale, senza consultare i Parlamento e, soprattutto, in condizioni di elevatissima precarietà giuridico-costituzionale; e poiché il recupero dell’investimento minerario non è a breve scadenza ma perlomeno a scadenza media, le imprese non stanno investendo come ci si aspettava. Uno dei miei personali timori è che tra gli obiettivi per cui è stata convocata l’ANC ci sia proprio quello di attribuirle questo peso giuridico, queste garanzie, questa sicurezza giuridica affinché le imprese si decidano veramente a investire, e questo sarebbe gravissimo.


Quale lettura merita la presunta collettivizzazione della società intorno a un pensiero unico?

Qualsiasi forma con la quale si pretenda imporre all’insieme della società un modo di organizzazione della vita collettiva calato dall’alto e non in quanto espressione di processi di dibattiti, di consenso nella costruzione collettiva, rivela solo tendenze autoritarie; è infatti impossibile decretare che una società, da un giorno all’altro, sia socialista, o debba essere cattolica, o debba essere quella determinata cosa. Le società contemporanee sono necessariamente plurali e diversificate, per cui qualunque forma di convivenza collettiva richiede di assumere come punto di partenza che esista questa realtà, che c’è questa diversificazione e che la costruzione dello spazio della vita collettiva non può avvenire se non attraverso il consenso, vale a dire: è possibile tramite negoziati in cui alcuni cedono su alcune cose e altri su altre. Se qualcuno si erge a custode della verità e pretende di imporre all’insieme della società il modo di organizzarsi, questo non può che produrre reazioni suscettibili di sfociare nella violenza.


Non posso non chiederle qualcosa sulla sua percezione del ruolo dei mezzi di comunicazione sull’attuale congiuntura.

Credo che i mezzi di comunicazione stiano giocando un ruolo atroce, in quanto non fanno altro che gettare, a tempo pieno, benzina sul fuoco. Mi sembra che non abbiano responsabilmente coscienza di ciò che si dice e che viene riprodotto e che, a partire dai media, si stia attivamente contribuendo a incrementare il clima di sfiducia nonché di odio esacerbato che si sta installando nella società: la visione dell’altro come nemico; sono cose che i mezzi di comunicazione stanno alimentando, e questo è particolarmente grave. Quando vi sono alcuni programmi televisivi in cui, viceversa, si propone la possibilità di dialogo, si intervistano persone con prospettive diverse, è un po’ come una boccata di ossigeno in una situazione che, dal punto di vista dei media, francamente appare asfissiante.



 (da https://www.aporrea.org/)

Traduzione di Titti Pierini


[1] A chi continua a presentare Maduro come se fosse un pilastro del socialismo, e considera “antichavista” e complice dell’imperialismo chiunque ne critichi le inverosimili forzature, raccomando di esplorare le molte decine di articoli sul Venezuela pubblicati sul sito: fin dall’inizio avevano appoggiato, sia pur con qualche cautela rispetto agli entusiasmi acritici di certi pezzi di sinistra, Hugo Chávez, e avevano segnalato da tempo le contraddizioni di Maduro: ad esempio (e scelgo quasi a caso) Guai alle Cassandre…, e Venezuela, una vittoria di Pirro?. Ma potrei rinviare al mio libro Il risveglio dell’America Latina, pubblicato da Alegre, e che dovrebbe tappare la bocca a chi vede agenti della CIA dovunque...

[2] Edgardo Lander si è laureato in Sociologia all’Universidad Central de Venezuela, dove è docente in questa materia, ed è ricercatore associato del Transnational Institute. Lander, storico pensatore critico di sinistra e militante sociale e politico attivo, intervistato sull’ Assemblea Nazionale Costituente (ANC) promossa dal presidente Nicolás Maduro, afferma che si tratta di un meccanismo che corrisponde agli interessi del governo a “mantenersi al potere” e non all’espressione della sovranità del popolo venezuelano, come si è voluto far credere dalla propaganda ufficiale, per cui non si può assolutamente presentarla come “dialogo”. Si tratta di “un’imposizione”.




[3] L’intervista è apparsa su “La Razón”, 11 luglio 2017





 dal sito Movimento Operaio


 

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